venerdì 22 aprile 2011

Habemus Papam, ultima opera di Nanni Moretti. A prescindere dalla cinematografia, come sempre impeccabile, il film stupisce in quanto non si prefigura, come si potrebbe immaginare, come la solita occasione di satira. La tentazione è forte, ci sono tutti i presupposti per lo scontro fra lo psicologo ateo e razionalista e l'ambientazione (magistralmente ricreata) del Vaticano. Eppure il contrasto non c'è. Non appena si dà il via al dibattito, la potenza esuberante del caso e della vita sottrae il (magistralmente interpretato) illustre paziente allo psicologo disilluso (Moretti). È una provocazione estremamente coraggiosa, che deve essere letta così: io voglio parlare dell'uomo, dell'inadeguatezza, dell'insicurezza. Al confronto banalità come l'esistenza dell'anima o dell'inconscio o il binomio conflittuale creazionismo-darwinismo, sono insignificanti, sono vecchi e polverosi sofismi. Così il regista Moretti si prende gioco del personaggio Moretti e lo rinchiude ironicamente in Vaticano. Il medico tenta disperatamente di mettere in difficoltà, senza alcun desiderio di costituire un dialogo costruttivo, i vari personaggi con i quali riesce a stabilire bene o male un contatto; viene azzittito con risposte secche, di una profondità proporzionale a quella delle sue domande. Il vero contatto l'ateo e i cardinali lo troveranno in un altro ambito, molto più umile, ma questo lo si scoprirà solo vedendo il film.
Polemica contro il se stesso d'altri tempi, dunque; contro la sua vena satirica che oggi deve farsi da parte per far spazio alle grandi problematiche, quelle che occupano il nucleo tematico più intenso del film. È infantile, dopotutto, che il comunista si metta a battibeccare col cattolico ora che le loro rispettive fedi, fatte le dovute proporzioni, sono in gravissima crisi. Non lo si faceva neppure quando erano ancora entrambe vivissime e partecipate:
E allora via, basta con la retorica vuota. Ci si concentra sull'uomo, sulle ansie di questo millennio. A chi definirà questo film come un film neutro, incapace di prendere posizione, evidentemente si concentra troppo su questioni che poco interessano al regista. La posizione la prende, ed è anche molto forte - è espressa con una violenza straniante nel finale tipicamente morettiano, che sembra ricalcare, in intensità e drammaticità, la chiusura profetica de il Caimano.
Ci sarebbe moltissimo da dire sul film, in particolare riguardo anche agli intervalli comico-goliardici, prodotto di un qualche fanciullino interiore di Moretti che tanto serio non è mai stato, ma non si può senza rovinare la sorpresa. Consiglio soltanto la visione a tutti di questo film.